Tassi zero e rischi per gli investitori

Scritto il alle 11:32 da redazione [email protected]

Di seguito pubblichiamo un commento di Claudio Barberis, Head of Asset allocation di MoneyFarm, sui tassi di interesse e gli effetti che le scelte di politica monetaria adottate negli ultimi anni dalle principali banche centrali mondiali. Per l’esperto, i rendimenti quasi nulli offerti dai titoli obbligazionari rappresentano un rischio per l’investitore. La possibilità di incorrere in perdite reali è molto alta, specialmente per i titoli con una duration lunga.

Da anni gli investitori si trovano ad aver a che fare con rendimenti quasi nulli sui mercati monetari e rendimenti a scadenza sui minimi storici per quanto concerne i mercati obbligazionari. Vediamo nella tabella il rendimento a scadenza dei principali mercati obbligazionari dei paesi sviluppati a due, cinque e dieci anni.

Nella tabella è stato anche indicato il tasso di inflazione più recente nell’area monetaria di riferimento. In linea di massima si può quindi dire che sui mercati monetari già adesso gli investitori globali stanno accettando rendimenti bassi e inferiori all’inflazione corrente.

Sulle scadenze più lunghe invece se l’inflazione resterà bassa si avranno rendimenti reali positivi, ma se nei prossimi anni la situazione dovesse cambiare (ripresa, prezzi in salita oltre le attese), la possibilità di incorrere in perdite reali sarà molto alta.

Le ragioni di questa situazione sono più o meno note.

Durante la crisi del 2008-2009 le Banche Centrali hanno tagliato i tassi per agevolare la gestione del debito di banche e Stati indebitati. In seguito, per via della recessione, tenere i tassi bassi è diventato un approccio comune nelle principali economie per incentivare la ripresa, non appesantire ulteriormente deficit pubblici in sofferenza e ottenere un deprezzamento competitivo della propria valuta.

Ma l’origine vera dei tassi bassi secondo alcuni viene da lontano e ha cause più profonde.Tra queste, un eccesso di risparmi globali soprattutto nei paesi emergenti, reinvestiti in titoli di stato americani ed europei causando una salita dei prezzi e quindi un calo dei rendimenti prospettici.

Altra motivazione potrebbe essere il basso tasso di crescita potenziale delle economie globali, anche delle più sane, per cui di fatto non ci sarebbe una corsa ad accaparrarsi capitale da parte di imprenditori pieni di buone idee ma solo una disperata ricerca di nuovi investimenti per risparmiatori che hanno le tasche piene di carta moneta di cui non sanno che fare.

Più a monte ancora, alcuni analisti puntano il dito contro una “filosofia” di gestione della politica monetaria che ha negli ultimi decenni assecondato i mercati finanziari con progressive immissioni di liquidità ogni volta che si è presentata una crisi sulle borse o una difficoltà sul fronte del debito. Un assecondamento che secondo alcuni ha reso i “policy makers” prigionieri di mercati enormi e potentissimi, mercati in grado di affossare intere economie in assenza di continui interventi di supporto.

La coesistenza di recessioni, inflazioni inesistenti e mercati sui massimi storici (obbligazionari e azionari) è secondo alcuni la conferma dell’esistenza di una “asset economy”, dove la moneta viene immessa e circola sui mercati internazionali, beneficiando investitori e risparmiatori, ma con conseguenze di fatto marginali o inesistenti sul settore non finanziario dell’economia.

Va riconosciuto che gli interventi d’emergenza delle banche centrali nel 2008 e 2011 hanno “salvato” il sistema, evitando una nuova grande depressione, ma secondo alcuni economisti non si sarebbe arrivati a un 2008 se nei vent’anni precedenti si fosse adottato un altro modo di fare politica monetaria.

Assodato che i tassi sono bassi, per vari motivi, quali potranno essere le conseguenze di questa situazione?

Barry Eichengreen, forse il più grande storico di politica monetaria vivente, sta scrivendo da mesi sulla stampa internazionale interventi che mettono il dubbio sull’utilità di tassi bassi ad oltranza.

Tassi bassi potrebbero ad esempio incentivare i risparmiatori, privati di rendimenti appetibili su titoli di stato e blue chips, a prendere rischi non ben calcolati, investendo su aziende non sempre innovative (sono recenti casi di acquisizioni di aziende tecnologiche che ricordano gli eccessi di fine anni ’90).

I tassi a zero stanno di fatto sussidiando aziende che in alcuni casi non sopravviverebbero: il numero di default sui mercati sub-investment grade è ai minimi storici, ma non è ben chiaro quanti di questi emittenti potrebbero sopravvivere a tassi in salita.

La stessa industria del risparmio gestito, che sta vivendo uno dei momenti più felici della sua storia dopo anni di influssi e raccolta record, si trova ad affrontare prospettive di rendimenti bassi e puntare su strategie alternative (absolute, smart beta…) che fino a pochi anni fa rappresentavano una nicchia. Alcuni gestori stanno trovando anche vie commerciali per rendere appetibili rendimenti miseri (fondi a cedola, fondi a scadenza…).

Questa “asset economy” vede gli operatori in attesa di capire quale sarà la strategia d’uscita da questo contesto di tassi bassi, che ormai non accontentano più nessuno.

La strada che sembrano percorrere i policy maker globali è al momento quella di un lungo periodo di tassi bassi, inflazione in leggera salita, rendimenti reali futuri negativi per gli investitori, in attesa che i debiti pubblici e privati migliorino. I tassi bassi potrebbero essere garantiti da Banche Centrali iperattive, fino a che la ripresa sarà solida e avviata, dopo il quale i rendimenti potranno lentamente normalizzarsi e salire.

Questo percorso, secondo alcuni, ridimensionerebbe lentamente l’eccesso di risparmi nel sistema e la dipendenza dello stesso dagli umori dei risparmiatori, nonchè ridurrebbe in qualche modo l’iniqua distribuzione della ricchezza nelle economie mature. Nel breve periodo i vecchi risparmiatori verrebbero penalizzati, ma nel medio periodo i nuovi risparmi troverebbero finalmente rendimenti reali positivi e un contesto in cui la remunerazione del capitale è proporzionata ai rischi corsi.

Una versione invece più pessimista vede invece tassi bassi a lungo con economie non in ripresa, inflazione ancora bassa, debiti pubblici e privati stabilmente alti. Quindi un risultato non raggiunto, nonostante tassi bassi e mercati sui massimi.

In questo caso gli investitori resterebbero protagonisti nel sistema, generando flussi di capitale nervosi in continua ricerca di rendimenti potenziali inesistenti, con cicli di bolle  e crisi poco salutari per l’economia.

Di certo, per concludere, i tassi bassi hanno nel migliore dei casi i trimestri contati, nel peggiore dei casi sono destinati ad essere uno strumento di ormai dubbia utilità. Investitori, mercati e policy makers non possono che sperare in un affrancamento da questa situazione.

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